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lunedì 30 aprile 2012

CONFERENZA ABDR STUDIO


PAOLO DESIDERI                  
La Nuova Stazione Tiburtina e altri progetti dello studio ABDR
Conferenza alla Facoltà di Architettura di Roma
Intervengono:
il Preside Renato Masiani
il Direttore del Dipartimento DiAP Piero Ostilio Rossi
venerdì 16 dicembre 2011 ore 16.00
Aula Magna della Facoltà di Architettura di Roma, via Gramsci 53

Introduzione:

Le parole del Preside di Facoltà (prof. Renato Masiani), nonché docente della cattedra di scienze delle costruzioni e del professor Piero Ostlio Rossi (direttore del Dipartimento Diap), hanno introdotto questo evento svoltosi nell'Aula Magna della Facoltà di Valle Giulia. In particolar modo, il professor Masiani ha asserito inizialmente che Paolo Desideri (architetto e professore alla facoltà di architettura di Roma 3) non ha bisogno di presentazioni, visto il ruolo che occupa all'interno della società attuale e in particolar mondo nell'architettura contemporanea italiana e mondiale. Masiani sottolinea il rapporto istauratosi negli anni tra l'università e il mondo della professione, del progetto e delle costruzioni: tema molto attuale e molto delicato. Qui, il Preside evidenzia con una metafora la questione dell'insegnamento nel campo architettonico, decretando che “nessuno mai si farebbe operare da tale dottore che non abbia mai avuto esperienze operatorie” e così, vuole trasmettere in messaggio: “sarebbe un paradosso professare un insegnamento senza aver esercitato e svolto compiutamente tutto ciò che riguarda la maestria del progetto”. L'egregio professore di scienza delle costruzioni, annuncia che durante la conferenza saranno presentati ben tre progetti e, commenta con esito lodevole l'inaugurazione e la sua avvenuta conoscenza dello spazio nuovo della stazione Tiburtina, da poco inaugurata. Commenta inoltre che è uno spazio piacevole, di grande qualità architettonica e fascino tecnico-costruttivo (lo dimostra infatti la grande trave nascosta nella copertura aggettante e sospesa, alla quale vengono sostanzialmente appesi dei volumi dalle caratteristiche del pod (contenitore), ossia una serie di grossi volumi giacenti a mezz’aria e dominanti sulla galleria.

La forma come risorsa:

Questo è il titolo che accompagna le parole iniziali dell'architetto Desideri. Il preambolo che vuole fare è relativo al fatto che nel nostro lavoro, noi crediamo che: sia la forma, sia il progetto e sia la morfologia possano essere visti come elementi atti a doversi fare carico della risoluzione dei problemi del costruito. Desideri sottolinea che personalmente tende sempre a rifuggire questa eccessiva speranza nella tecnologia, preferendo sempre utilizzare come principale strumento a disposizione dell'operante (progettista) la forma. Per fare questo, tuttavia, dobbiamo rinunciare (in antefatto) a qualsiasi tipo di autoreferenzialità della forma. Insomma, dobbiamo attivarci affinchè tutte le risorse creative risultino impegnate e dispiegate a risolvere i problemi e non ad aumentarli. Crede insomma ad una condizione creativa, volta al problem solving e non al problem adding (come spesso accade nell'architettura contemporanea). Il grande rischio che comporta l’autoreferenzialità della forma è quello di portare il sistema al collasso nella maggioranza dei casi. ABDR (lo studio di architettura a cui afferisce), quando trova un problema legato all’engineering, manifestatosi all'atto del costruire (situazione critica per il progettista), normalmente lo saluta con grande interesse, perché per essere superato, richiede la via della creatività additiva. Paolo Desideri vuole sottolineare con questo pensiero che i problemi non li risolvono gli ingegneri, ma vanno risolti a monte durante la fase architettonica, quindi bisogna conoscere al meno quanto conoscono gli ingegneri. Ciò significa avere delle ottime basi delle scienze delle costruzioni e, se ciò non avviene si andrà sempre contro ad una non interattività dell’operato. Replica quindi con un'altra metafora: “bisogna avere la sensibilità sufficiente per essere in grado di suonare anche quello strumento. Per essere bravi direttori d'orchestra non si deve essere necessariamente solisti di nessuno strumento, ma bisogna conoscere tutti gli strumenti, anche se non da virtuosi”.

Museo Archeologico di Reggio Calabria – georeferenziazione

































Il primo progetto che mostra l'architetto è il Museo Archeologico di Reggio Calabria, opera di Marcello Piacentini (che dal 1927 al 1932, non solo ne cura il progetto, ma, in parte, anche la realizzazione), aprendo un’immagine del 1939 (che lo ritrae nella fase della sua inaugurazione) preservando in questa scena la particolarità delle finestre mancanti (previste in ferro) in seguito al divieto tassativo del Duce, il quale giustificò questa sua disposizione con lo slogan "ferro ai cannoni". Piacentini, in seguito a questo divieto (in extremis) le ridisegnò in legno, come poi vennero realizzate. Il museo, come spesso accade in Italia, viene sottoposto alle cure della ristrutturazione a partire da un dato di apparente marginalità agli occhi dei progettisti-architetti: la necessità del suo consolidamento strutturale e messa a norma sia antisismica che impiantistica. Come dato paradossale, i bronzi, dopo cinque anni di esposizione al museo, risultavano più oltraggiati rispetto ai 2000 anni di resistenza nel fondo del mare. L'ambiente infatti non era previsto di opportuni filtri che preservassero lo stato delle opere d'arte, per cui risultava molto più aggressivo. Tuttavia questi interventi (riguardanti un manufatto vincolato) apparentemente di ingegneria pura, si rivelano molto interessanti. Quindi il problema della risistemazione generale, diventa un oggetto di riprogettazione completo che prevede un immediato ribaltamento del consolidamento strutturale e infilaggio impiantistico, individuando nel cortile aperto del museo (28 m per 13 m), l'elemento centrale sul quale concentrare in maniera prevalente le azioni del consolidamento, cioè utilizzando le pareti come perno centrale sul quale scaricare le azioni di tensione dell'intero sistema, raccordato adeguatamente dal punto di vista strutturale.

I bronzi al piano terra
























Questi rinforzi costituiscono (come accennato) la sede di passaggio di tutti gli impianti che trovano nel nuovo manto del muro (forma) un alloggiamento in quale non risulti invasivo. Una attenzione particolare viene prestata al comportamento bioclimatico di questo spazio centrale a patio. Come si evince dagli schemi, il cortile viene chiuso da una solaio vetrato, il quale grazie alle sue caratteristiche di trasparenza, sotto l'effetto dell'irraggiamento solare, produce aria calda in estate (con consecutivo effetto serra), la quale non è di per se dannosa, in quanto non staziona affatto nel cortile, ma viene intercettata dai camini estrattori realizzati nella rifoderatura del perimetro del cortile e portati in sommità del piano aggiuntivo (realizzato in carpenteria) mentre, di contro, viene richiamata aria fredda trattata con una macchina di raffreddamento e umidificazione, dai piani di base. Si innesca dunque un ciclo di aria convettivo che, alimentato dall'irraggiamento solare, si sviluppa in condizioni di calma di vento, ed è favorito dalla trasmittanza del solaio in vetro. Il piano aggiuntivo, sormontato da una sequenza di breise-soleil metallici, che si trova in sommità, ospita la caffetteria. Essa vanta la visione da una terrazza che affaccia su un paesaggio straordinario come quello dello stretto di Messina. Questa rivitalizzazione del muro centrale del cortile (ispessito), è stata in qualche modo promotrice di una suggestione che è alla base dell'opera d'arte realizzata per il complesso museale da Alfredo Pirri (grande artista contemporaneo di origini calabresi che vive a Roma) che ha realizzato su tre delle quattro pareti del grande ingresso una istallazione molto affascinante, fatta con materiali utilizzati da noi architetti. La grande installazione artistica dialoga e si integra con il nuovo atrio di ingesso che corrisponde al vecchio cortile interno e che si configura, appunto, come una nuova piazza monumentale aperta alla città. Essa consiste in una ulteriore foderatura realizzata in cartongesso, discosta di circa 8 cm e che è verniciata in rosso nella parte interna nascosta. L'effetto nell'orario diurno (ossia quando abbiamo una illuminazione zenitale) è quello di una ombra rossa che varia intensità e profondità man mano fino al crepuscolo, ora in cui scompare. Le facciate del cortile interno vantano della rimozione di tutti gli infissi, riportando la geometria degli imbotti alla luce e, questo intervento concretizza una rivitalizzazione della tendenza metafisica di Marcello Piacentini e più in generale del Razionalismo italiano. Tornando alla copertura vetrata, il professore puntualizza che essa è realizzata attraverso l'utilizzazione di una morfologia strutturale molto interessante: una tensegrity. L'obiettivo di questo affascinante elemento era quello di realizzare una struttura composta da un piano doppio di lastre in vetro che coprissero un'area di 28 m per 13 m. Il grande problema qui è costituito essenzialmente nella ricerca di strutture atte a sopportare queste lastre di circa 2 m x 2,60 m. Andando a realizzare diversamente questo complesso sistema, sarebbe venuto fuori un doppio cassettonato di travi sovrastante il cortile, dall'impatto estremamente pesante e dal peso estremamente rilevante.

Morfologia strutturale della tensegrity e la lobby museale



























Il funzionamento della tensegrity (come dice la parola) si fonda sul concetto di tensione che agisce all'interno di una struttura reticolare spaziale di concezione estremamente contemporanea e di design. Tuttavia, grazie al fatto che la spinta in queste aste è sempre nella stessa direzione (sotto l'azione della gravità) e, attraverso un semplice cremoniano delle forze, si può facilmente arrivare ad individuare quali sono le aste tese e le altre compresse. Dopo di che, si trasformano le aste tese il tiranti, o meglio bisogna fare in modo che questi cavi siano talmente in tensione da determinare una equilibrata compressione nelle altre aste. Da notare che la tensegrity funziona esclusivamente grazie alla presenza delle aste, mentre se fossero solo tiranti, non ci sarebbe equilibrio. Le tensegrity sono state studiate per la prima volta da Kroller Muller negli anni ’20 / ‘30 per realizzare (un po’ banalmente se vogliamo) piedistalli di tavolini in cristallo. Il vero motivo per cui in architettura sono state raramente utilizzate è che: siccome queste strutture si reggono grazie alla tensione dei cavi e, l'acciaio (in sezioni sottili), resisteva straordinariamente alla trazione, ma aveva la caratteristica di cedere, cioè di allungarsi per elasticità;  nel momento in cui si allunga, perde tensione e il sistema collassa. 
Oggi, i cavi in acciaio non si allungano più grazie alla struttura interna realizzata in acciaio-carbonio dei trefoli.
Grazie al colloquio con l'ingegner Andrea Vallicelli, Desideri racconta di essere venuto a conoscenza di un sistema brevettato di auto-tensionamento degli stralli. La perdita di tensione non è legata ai cavi, ma all’allentarsi dei capo-corda, per cui l'Ingegnere ha studiato e brevettato uno straordinario sistema che potesse risolvere questo problema tecnologico fondamentale. Grazie a un accurato trasferimento tecnologico (derivante dallo studio di cavi per la velistica) , si è scoperto poi che questo sistema avrebbe potuto consentire di realizzare la struttura trasparente di acciaio/vetro e certificarla da un punto di vista normativo. Il risultato fu positivo. Analizzando in sezione questo strato sommitale di pura trasparenza si nota molto chiaramente che ognuna delle teste dell'asta compressa è attraversata da quattro cavi (tondi e soprattutto di uso nautico) schiacciati in testa e non capo-cordati. Da ciò si determina la possibilità di ancorarli in trazione per strozzamento con dei grandi “bulloni” terminali con macchine a controllo numerico e, nello stesso tempo orientarli in direzioni diverse e randomatiche, creando una configurazione che verte verso l'effetto ricercato del puntaspilli. Punto affascinante di questo processo creativo è quello che riguarda il modello matematico di calcolo della tensegrity.Nel caso di un perimetro quadrato o rettangolare (come nel caso che concerne la geometria della corte di questo complesso museale), le aste possono assumere un numero n di direzioni infinite, ma devono rispettare le condizioni per poter garantire ad un sistema fortemente irregolare di aste a perimetro rettangolare, le stesse condizioni di compressione. In altre parole se il perimetro fosse un cerchio (cioè una geometria di tipo radiale o polare), le bacchette starebbero sinergicamente in posizione simmetrica rispetto al centro di convergenza.

Museo archeologico di Reggio Calabria – sezione













 




 





A partire dal fatto che la figura del rettangolo viene letta dal software come una geometria irregolare, si scopre che ciò viene letto e interpretato assieme alla necessità di disporre le aste in maniera rabdomantica e potergli conferire flessibilità di allungamento e accorciamento o addirittura distorcerle. Così facendo la forma e la tecnica vengono sovrapposte in un procedimento creativo con una risposta molto logica, accompagnata da tanta tecnologia e tanto calcolo. Questa cosa nasce descritta così già dal concept secondo Paolo Desideri. Cambiando discorso e affrontando il tema dell'allestimento (non meno importante), il museo è stato finalmente riapprezzato dalla collettività, grazie ad una straordinaria quantità reperti della Magna Grecia. Gli espositori di Piacentini erano andati distrutti e la nuova proposta di allestimento venne poi rivisitata con la chiave della classificazione di tipo contestuale e non più entomlogica (come venne fatto in precedenza). Infatti gli espositori di Marcello Piacentini sono stati concepiti con una logica di taglio determinista, legato alla oggettiva classificazione del reperto. Oggi (a partire dagli archeologi) nessuno mai sognerebbe di fare un tipo di allestimento alla “vecchia maniera”, anzi al contrario, utilizzando delle grandi titolature tematiche per area contestuale, che trovano in quelle direzioni spaziali, la loro esposizione: santuari, polis, tombe greche, indigene, etc. La logica è quella di mettere ad esempio dentro “santuari” tutti i reperti che hanno a che fare con questa sfera, indipendentemente dal fatto che siano cocci, monete, trabeazioni o altro. Per fare questo gli espositori sono modulati e concepiti come dei grandi tavoli in corian (materiale simile alla matericità del marmo) di 2,80 m per 6,00 m, al di sopra dei quali si trova lo spazio per posizionare a differenti altezze i reperti (sempre contestualmente inseriti).

Solaio vetrato di copertura: tensegrity















Trovano un nuovo basamento anche i bronzi di Riace, dove si trova nuovamente una soluzione per forma e morfologia e non per tecnologia. Attualmente i basamenti dei bronzi sono costituiti da molloni e pistoni idraulici, realizzati da Finmeccanica alla fine degli anni ‘70 e coperti da un grande drappo con sopra posizionati i bronzi, ai quali viene impedito il ribaltamento e con ferita una mobilità per inerzia in caso di scossa sismica. Il nuovo basamento è costituito da due lastre 1,20 m per 1,20 m altre rispettivamente 25 cm (quella sotto) e 35 cm (quella sopra) e distanziate tra l'una e l'altra da quattro sfere di 10 cm l'una, le quali sono alloggiate in de i piccoli catini che consentono lo scorrimento delle lastre, prevenendo la possibilità di un eventuale disalloggiamento. Quanto alla caffetteria notiamo il suo pavimento centrale trasparente e serigrafato e per quanto riguarda la sua qualità panoramica, possiamo certamente rammentare la splendida veduta sullo stretto di Messina.

Il Museo Piacentini e il mare


Roma, 28 Aprile 2012
Alberto Tomassi / Facoltà di Architettura U.E. “Ludovico Quaroni” – La Sapienza






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