La Nuova Stazione Tiburtina e altri
progetti dello studio ABDR
Conferenza alla
Facoltà di Architettura di Roma
Intervengono:
il Preside Renato
Masiani
il Direttore del
Dipartimento DiAP Piero Ostilio Rossi
venerdì 16 dicembre
2011 ore 16.00
Aula Magna della
Facoltà di Architettura di Roma, via Gramsci 53
Introduzione:
Le parole del Preside di
Facoltà (prof. Renato Masiani), nonché docente della cattedra di scienze delle costruzioni e del professor
Piero Ostlio Rossi (direttore del Dipartimento Diap), hanno introdotto questo
evento svoltosi nell'Aula Magna della Facoltà di Valle Giulia. In particolar
modo, il professor Masiani ha asserito inizialmente che Paolo Desideri
(architetto e professore alla facoltà di architettura di Roma 3) non ha bisogno
di presentazioni, visto il ruolo che occupa all'interno della società attuale e
in particolar mondo nell'architettura contemporanea italiana e mondiale.
Masiani sottolinea il rapporto istauratosi negli anni tra l'università e il
mondo della professione, del progetto e delle costruzioni: tema molto attuale e
molto delicato. Qui, il Preside evidenzia con una metafora la questione
dell'insegnamento nel campo architettonico, decretando che “nessuno mai si
farebbe operare da tale dottore che non abbia mai avuto esperienze operatorie”
e così, vuole trasmettere in messaggio: “sarebbe un paradosso professare un
insegnamento senza aver esercitato e svolto compiutamente tutto ciò che
riguarda la maestria del progetto”. L'egregio professore di scienza delle
costruzioni, annuncia che durante la conferenza saranno presentati ben tre
progetti e, commenta con esito lodevole l'inaugurazione e la sua avvenuta
conoscenza dello spazio nuovo della stazione Tiburtina, da poco inaugurata. Commenta
inoltre che è uno spazio piacevole, di grande qualità architettonica e fascino
tecnico-costruttivo (lo dimostra infatti la grande trave nascosta nella
copertura aggettante e sospesa, alla quale vengono sostanzialmente appesi dei
volumi dalle caratteristiche del pod (contenitore), ossia una serie di grossi volumi
giacenti a mezz’aria e dominanti sulla galleria.
La forma come risorsa:
Questo è il titolo che
accompagna le parole iniziali dell'architetto Desideri. Il preambolo che vuole
fare è relativo al fatto che nel nostro lavoro, noi crediamo che: sia la forma,
sia il progetto e sia la morfologia possano essere visti come elementi atti a
doversi fare carico della risoluzione dei problemi del costruito. Desideri
sottolinea che personalmente tende sempre a rifuggire questa eccessiva speranza
nella tecnologia, preferendo sempre utilizzare come principale strumento a
disposizione dell'operante (progettista) la forma. Per fare questo, tuttavia,
dobbiamo rinunciare (in antefatto) a qualsiasi tipo di autoreferenzialità della
forma. Insomma, dobbiamo attivarci affinchè tutte le risorse creative risultino
impegnate e dispiegate a risolvere i problemi e non ad aumentarli. Crede
insomma ad una condizione creativa, volta al problem solving e non al problem adding (come spesso accade nell'architettura
contemporanea). Il grande rischio che comporta l’autoreferenzialità della forma
è quello di portare il sistema al collasso nella maggioranza dei casi. ABDR (lo
studio di architettura a cui afferisce), quando trova un problema legato all’engineering, manifestatosi all'atto del
costruire (situazione critica per il progettista), normalmente lo saluta con
grande interesse, perché per essere superato, richiede la via della creatività
additiva. Paolo Desideri vuole sottolineare con questo pensiero che i problemi
non li risolvono gli ingegneri, ma vanno risolti a monte durante la fase
architettonica, quindi bisogna conoscere al meno quanto conoscono gli
ingegneri. Ciò significa avere delle ottime basi delle scienze delle costruzioni
e, se ciò non avviene si andrà sempre contro ad una non interattività
dell’operato. Replica quindi con un'altra metafora: “bisogna avere la
sensibilità sufficiente per essere in grado di suonare anche quello strumento.
Per essere bravi direttori d'orchestra non si deve essere necessariamente
solisti di nessuno strumento, ma bisogna conoscere tutti gli strumenti, anche
se non da virtuosi”.
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Museo Archeologico di Reggio
Calabria – georeferenziazione
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Il
primo progetto che mostra l'architetto è il
Museo Archeologico di Reggio Calabria,
opera di Marcello Piacentini (che
dal 1927 al 1932, non solo ne cura il progetto, ma, in parte, anche la
realizzazione), aprendo un’immagine del 1939 (che lo ritrae nella fase
della sua inaugurazione) preservando in questa scena la particolarità delle
finestre mancanti (previste in ferro) in seguito al divieto tassativo del Duce,
il quale giustificò questa sua disposizione con lo slogan "ferro ai
cannoni". Piacentini, in seguito a questo divieto (in extremis) le ridisegnò
in legno, come poi vennero realizzate. Il museo, come spesso accade in Italia,
viene sottoposto alle cure della ristrutturazione a partire da un dato di
apparente marginalità agli occhi dei progettisti-architetti: la necessità del suo consolidamento strutturale e messa a
norma sia antisismica che impiantistica. Come dato paradossale,
i bronzi, dopo cinque anni di
esposizione al museo, risultavano più oltraggiati rispetto ai 2000 anni di
resistenza nel fondo del mare. L'ambiente infatti non era previsto di opportuni filtri che preservassero lo stato delle opere d'arte, per
cui risultava molto più aggressivo. Tuttavia questi interventi (riguardanti un
manufatto vincolato) apparentemente di ingegneria pura, si rivelano molto
interessanti. Quindi il problema della risistemazione generale, diventa un oggetto
di riprogettazione completo che prevede un immediato ribaltamento del
consolidamento strutturale e infilaggio impiantistico, individuando nel cortile
aperto del museo (28 m per 13 m), l'elemento centrale sul quale concentrare in
maniera prevalente le azioni del consolidamento, cioè utilizzando le pareti
come perno centrale sul quale scaricare le azioni di tensione dell'intero
sistema, raccordato adeguatamente dal punto di vista strutturale.
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I bronzi al piano terra
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Questi rinforzi
costituiscono (come accennato) la sede di passaggio di tutti gli impianti che
trovano nel nuovo manto del muro (forma) un alloggiamento in quale non risulti
invasivo. Una attenzione particolare viene prestata al comportamento
bioclimatico di questo spazio centrale a patio. Come si evince dagli schemi, il
cortile viene chiuso da una solaio vetrato, il quale grazie alle sue
caratteristiche di trasparenza, sotto l'effetto dell'irraggiamento solare,
produce aria calda in estate (con consecutivo effetto serra), la quale non è di
per se dannosa, in quanto non staziona affatto nel cortile, ma viene intercettata
dai camini estrattori realizzati nella rifoderatura del perimetro del cortile e
portati in sommità del piano aggiuntivo (realizzato in carpenteria) mentre, di
contro, viene richiamata aria fredda trattata con una macchina di raffreddamento
e umidificazione, dai piani di base. Si innesca dunque un ciclo di aria
convettivo che, alimentato dall'irraggiamento solare, si sviluppa in condizioni
di calma di vento, ed è favorito dalla trasmittanza del solaio in vetro. Il
piano aggiuntivo, sormontato da una sequenza di breise-soleil metallici, che si
trova in sommità, ospita la caffetteria. Essa vanta la visione da una terrazza
che affaccia su un paesaggio straordinario come quello dello stretto di Messina.
Questa rivitalizzazione del muro centrale del cortile (ispessito), è stata in
qualche modo promotrice di una suggestione che è alla base dell'opera d'arte realizzata
per il complesso museale da
Alfredo Pirri
(grande artista contemporaneo di origini calabresi che vive a Roma) che ha
realizzato su tre delle quattro pareti del grande ingresso una istallazione
molto affascinante, fatta con materiali utilizzati da noi architetti. La grande
installazione artistica dialoga e si integra con il nuovo atrio di ingesso che
corrisponde al vecchio cortile interno e che si configura, appunto, come
una nuova piazza monumentale aperta alla città. Essa consiste in una ulteriore
foderatura realizzata in cartongesso, discosta di circa 8 cm e che è verniciata
in rosso nella parte interna nascosta. L'effetto nell'orario diurno (ossia
quando abbiamo una illuminazione zenitale) è quello di una ombra rossa che
varia intensità e profondità man mano fino al crepuscolo, ora in cui scompare. Le
facciate del cortile interno vantano della rimozione di tutti gli infissi,
riportando la geometria degli imbotti alla luce e, questo intervento concretizza
una rivitalizzazione della tendenza metafisica di Marcello Piacentini e più in
generale del Razionalismo italiano. Tornando alla copertura vetrata, il professore
puntualizza che essa è realizzata attraverso l'utilizzazione di una morfologia
strutturale molto interessante: una
tensegrity.
L'obiettivo di questo affascinante elemento era quello di realizzare una
struttura composta da un piano doppio di lastre in vetro che coprissero un'area
di 28 m per 13 m. Il grande problema qui è costituito essenzialmente nella
ricerca di strutture atte a sopportare queste lastre di circa 2 m x 2,60 m.
Andando a realizzare diversamente questo complesso sistema, sarebbe venuto
fuori un doppio cassettonato di travi sovrastante il cortile, dall'impatto
estremamente pesante e dal peso estremamente rilevante.
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Morfologia
strutturale della tensegrity e la lobby museale |
Il funzionamento della
tensegrity (come dice la parola) si fonda sul concetto di tensione che agisce
all'interno di una struttura reticolare spaziale di concezione estremamente
contemporanea e di design. Tuttavia, grazie al fatto che la spinta in queste
aste è sempre nella stessa direzione (sotto l'azione della gravità) e,
attraverso un semplice cremoniano delle forze, si può facilmente arrivare ad
individuare quali sono le aste tese e le altre compresse. Dopo di che, si
trasformano le aste tese il tiranti, o meglio bisogna fare in modo che questi
cavi siano talmente in tensione da determinare una equilibrata compressione
nelle altre aste. Da notare che la tensegrity funziona esclusivamente grazie
alla presenza delle aste, mentre se fossero solo tiranti, non ci sarebbe
equilibrio. Le tensegrity sono state studiate per la prima volta da
Kroller Muller negli anni ’20 / ‘30 per
realizzare (un po’ banalmente se vogliamo) piedistalli di tavolini in
cristallo. Il vero motivo per cui in architettura sono state raramente
utilizzate è che: siccome queste strutture si reggono grazie alla tensione dei
cavi e, l'acciaio (in sezioni sottili), resisteva straordinariamente alla
trazione, ma aveva la caratteristica di cedere, cioè di allungarsi per
elasticità; nel momento in cui si
allunga, perde tensione e il sistema collassa.
Oggi, i cavi in acciaio non si
allungano più grazie alla struttura interna realizzata in acciaio-carbonio dei
trefoli.
Grazie al colloquio con l'ingegner Andrea Vallicelli, Desideri
racconta di essere venuto a conoscenza di un sistema brevettato di auto-tensionamento
degli stralli. La perdita di tensione non è legata ai cavi, ma all’allentarsi
dei capo-corda, per cui l'Ingegnere ha studiato e brevettato uno straordinario
sistema che potesse risolvere questo problema tecnologico fondamentale. Grazie
a un accurato trasferimento tecnologico (derivante dallo studio di cavi per la
velistica) , si è scoperto poi che questo sistema avrebbe potuto consentire di
realizzare la struttura trasparente di acciaio/vetro e certificarla da un punto
di vista normativo. Il risultato fu positivo. Analizzando in sezione questo
strato sommitale di pura trasparenza si nota molto chiaramente che ognuna delle
teste dell'asta compressa è attraversata da quattro cavi (tondi e soprattutto
di uso nautico) schiacciati in testa e non capo-cordati. Da ciò si determina la
possibilità di ancorarli in trazione per strozzamento con dei grandi “bulloni”
terminali con macchine a controllo numerico e, nello stesso tempo orientarli in
direzioni diverse e randomatiche, creando una configurazione che verte verso
l'effetto ricercato del
puntaspilli.
Punto affascinante di questo processo creativo è quello che riguarda il
modello matematico di calcolo della
tensegrity.Nel caso di un perimetro quadrato o rettangolare (come nel caso
che concerne la geometria della corte di questo complesso museale), le aste
possono assumere un numero n di direzioni infinite, ma devono rispettare le
condizioni per poter garantire ad un sistema fortemente irregolare di aste a
perimetro rettangolare, le stesse condizioni di compressione. In altre parole
se il perimetro fosse un cerchio (cioè una geometria di tipo radiale o polare),
le bacchette starebbero sinergicamente in posizione simmetrica rispetto al
centro di convergenza.
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Museo archeologico di Reggio Calabria – sezione
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A partire dal fatto che la figura del rettangolo viene
letta dal software come una geometria irregolare, si scopre che ciò viene letto
e interpretato assieme alla necessità di disporre le aste in maniera
rabdomantica e potergli conferire flessibilità di allungamento e accorciamento
o addirittura distorcerle. Così facendo la forma e
la tecnica vengono sovrapposte in un procedimento creativo con una risposta
molto logica, accompagnata da tanta tecnologia e tanto calcolo. Questa cosa
nasce descritta così già dal concept secondo Paolo Desideri. Cambiando discorso
e affrontando il tema dell'allestimento (non meno importante), il museo è stato
finalmente riapprezzato dalla collettività, grazie ad una straordinaria
quantità reperti della Magna Grecia. Gli espositori di Piacentini erano andati
distrutti e la nuova proposta di
allestimento
venne poi rivisitata con la chiave della
classificazione
di tipo contestuale e non più entomlogica (come venne fatto in precedenza).
Infatti gli espositori di Marcello Piacentini sono stati concepiti con una
logica di taglio determinista, legato alla oggettiva classificazione del
reperto. Oggi (a partire dagli archeologi) nessuno mai sognerebbe di fare un
tipo di allestimento alla “vecchia maniera”, anzi al contrario, utilizzando delle
grandi titolature tematiche per area contestuale, che trovano in quelle
direzioni spaziali, la loro esposizione: santuari, polis, tombe greche,
indigene, etc. La logica è quella di mettere ad esempio dentro “santuari” tutti
i reperti che hanno a che fare con questa sfera, indipendentemente dal fatto
che siano cocci, monete, trabeazioni o altro. Per fare questo gli espositori sono
modulati e concepiti come dei grandi tavoli in corian (materiale simile alla
matericità del marmo) di 2,80 m per 6,00 m, al di sopra dei quali si trova lo
spazio per posizionare a differenti altezze i reperti (sempre contestualmente
inseriti).
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Solaio vetrato di copertura:
tensegrity
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Trovano un nuovo
basamento
anche i
bronzi di Riace, dove si
trova nuovamente una
soluzione per forma
e morfologia e non per tecnologia.
Attualmente i basamenti dei bronzi sono costituiti da molloni e pistoni
idraulici, realizzati da Finmeccanica alla fine degli anni ‘70 e coperti da un
grande drappo con sopra posizionati i bronzi, ai quali viene impedito il
ribaltamento e con ferita una mobilità per inerzia in caso di scossa sismica.
Il nuovo basamento è costituito da due lastre 1,20 m per 1,20 m altre
rispettivamente 25 cm (quella sotto) e 35 cm (quella sopra) e distanziate tra
l'una e l'altra da quattro sfere di 10 cm l'una, le quali sono alloggiate in de
i piccoli catini che consentono lo scorrimento delle lastre, prevenendo la
possibilità di un eventuale disalloggiamento. Quanto alla caffetteria notiamo
il suo pavimento centrale trasparente e serigrafato e per quanto riguarda la
sua qualità panoramica, possiamo certamente rammentare la splendida veduta
sullo stretto di Messina.
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Il Museo Piacentini e il
mare
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Roma, 28 Aprile 2012
Alberto Tomassi /
Facoltà di Architettura U.E. “Ludovico Quaroni” – La Sapienza